Da Lotto a Trenno e ritorno: Milano zucchero e catrame
In cammino negli ippodromi e nella grande riserva verde di Milano per capire meglio lo spirito della città. Leggende e routine dello sport, architetture di servizio e scenari spiazzanti: grandi sogni che illuminano la fatica quotidiana.
“Milano zucchero e catrame”, come cantava Lucio Dalla in una sua canzone: una sintesi appropriata per il nostro percorso, nel quale riscopriamo una città ricca di contrasti e di paradossi anche da un punto di vista geografico.
Se è difficile perdersi a Milano, e se è vero che le distanze da percorrere non sono quelle di una megalopoli, il nostro cammino, teorizzato, studiato, calpestato e toccato con mano, è semplice solo in apparenza.
San Siro e le scuderie: routine quotidiana e sospensione magica della realtà
Nella linearità del percorso studiato “a tavolino” si inseriscono d’altra parte il “fattore tempo” e il “fattore organizzazione”: vale a dire la necessità non solo di approfondire i mille rivoli delle storie che si nascondono dietro i territori e le costruzioni, ma anche di fermarsi ad ammirare con calma quello che ci si trova davanti; e tutto ciò dipende anche dalla possibilità effettiva (e non scontata) di avere accesso a luoghi spesso chiusi al pubblico.
I percorsi si fanno dunque frammentati e richiedono un occhio capace di ricomporli senza perdere, anzi esaltando la forza del singolo dettaglio.
Se è difficile perdersi a Milano, e se è vero che le distanze da percorrere non sono quelle di una megalopoli, il nostro cammino, teorizzato, studiato, calpestato e toccato con mano, è semplice solo in apparenza.
San Siro e le scuderie: routine quotidiana e sospensione magica della realtà
Nella linearità del percorso studiato “a tavolino” si inseriscono d’altra parte il “fattore tempo” e il “fattore organizzazione”: vale a dire la necessità non solo di approfondire i mille rivoli delle storie che si nascondono dietro i territori e le costruzioni, ma anche di fermarsi ad ammirare con calma quello che ci si trova davanti; e tutto ciò dipende anche dalla possibilità effettiva (e non scontata) di avere accesso a luoghi spesso chiusi al pubblico.
I percorsi si fanno dunque frammentati e richiedono un occhio capace di ricomporli senza perdere, anzi esaltando la forza del singolo dettaglio.
Milano insomma va conosciuta a piccoli pezzi, con lo spirito, prima ancora che dello storico o dello studioso, del “flâneur” disposto a stupirsi di certe contraddizioni inattese e bizzarre. In questo senso l’area che abbiamo scelto, e che copre lo spazio compreso tra Piazzale Lotto e il borgo di Trenno, è un terreno ideale per mettere in pratica questo spirito di esplorazione urbana: il tragitto ci fa intuire come tra le grandi città europee Milano sia una di quelle più capaci di cambiare radicalmente da un angolo all’altro i propri scenari, siano essi legati alla presenza del verde o alla qualità artistica e storica delle architetture.
In ogni tappa della nostra escursione troviamo una strana continuità tra uomo e natura, tra cemento e verde, tra luce e ombra che non è un semplice effetto distorsivo della crescita urbana e della speculazione: è anche un equilibrio sorprendente, spesso capace di emozionare, disorientare e far aprire gli occhi sulla realtà delle cose.
In ogni tappa della nostra escursione troviamo una strana continuità tra uomo e natura, tra cemento e verde, tra luce e ombra che non è un semplice effetto distorsivo della crescita urbana e della speculazione: è anche un equilibrio sorprendente, spesso capace di emozionare, disorientare e far aprire gli occhi sulla realtà delle cose.
IN PARTENZA: DAL LIDO, VERSO SAN SIRO E LE SCUDERIE
Prendiamo le mosse da Piazzale Lotto, alle spalle dell’imponente ma poco conosciuto Lido di Milano, con la sua affascinante immagine pubblica di concorrente raffinato del più “rustico” Idroscalo: una rivalità di cui si è scritto poco e che meriterebbe un racconto a sé. Piazzale Lotto delimita il principale spazio dell’ippica cittadina: l’Ippodromo del Galoppo, al cui ingresso principale (lato sud, a ridosso dello stadio di San Siro e del più piccolo Ippodromo del Trotto) si trova dal 1999 la riproduzione della statua equestre progettata da Leonardo.
Prendiamo l’autobus 78, che sull’asse di via Diomede e via Ippodromo ci conduce alle vecchie scuderie di San Siro. Le mura che delimitano l’ippodromo sono il primo esempio di un mondo, quello dell’ippica, che si offre e insieme si nasconde al visitatore.
A nord-ovest di Milano convivono sogni architettonici, verde e urbanistica popolare
A mano a mano che ci avviciniamo alle scuderie proviamo l’ampliarsi dello spettro di questa sensazione, che si riproporrà d’altronde in tutte le tappe del nostro itinerario: l’idea che il presente di quest’area e il “sistema” stesso dell’ippica, con il suo spirito e i suoi riti, si stiano allontanando dal loro passato glorioso, e insieme lo custodiscano gelosamente come un prezioso segreto che gli estranei possono solo cogliere a frammenti.
Prendiamo l’autobus 78, che sull’asse di via Diomede e via Ippodromo ci conduce alle vecchie scuderie di San Siro. Le mura che delimitano l’ippodromo sono il primo esempio di un mondo, quello dell’ippica, che si offre e insieme si nasconde al visitatore.
A nord-ovest di Milano convivono sogni architettonici, verde e urbanistica popolare
A mano a mano che ci avviciniamo alle scuderie proviamo l’ampliarsi dello spettro di questa sensazione, che si riproporrà d’altronde in tutte le tappe del nostro itinerario: l’idea che il presente di quest’area e il “sistema” stesso dell’ippica, con il suo spirito e i suoi riti, si stiano allontanando dal loro passato glorioso, e insieme lo custodiscano gelosamente come un prezioso segreto che gli estranei possono solo cogliere a frammenti.
NELLE SCUDERIE DI SAN SIRO: IL FASCINO MISTERIOSO DELL'IPPICA
Lungo tutto l’asse di avvicinamento alle scuderie possiamo da subito identificare i lussuosi condomini che hanno fatto di San Siro l’ambito quartiere “dormitorio di lusso” per le star del calcio e dello spettacolo: abitazioni ben visibili dalla strada e imponenti, eppure tappezzate di verde, forse a difendere la privacy delle celebrità che vi risiedono.
Quando giungiamo alla cancellata delle scuderie di San Siro entriamo in un mondo a parte, ma che a modo suo mantiene questa strana fusione di routine quotidiana e sospensione magica della realtà: basta vedere come la tradizione lombarda delle corti e delle cascine si affianchi qui a sofisticate architetture liberty. E se all’inizio di questa esperienza associavamo il cavallo a un’immagine tradizionale un po’ “fatata” e mitica, rarefatta, ora la realtà di ogni giorno si dispiega sotto i nostri occhi.
I cavalli scrutano dai box i visitatori, e non meno guardinghi sono i tanti cani e gatti delle taglie più diverse, che decidono di seguirci e di tenerci se possibile a debita distanza dal loro mondo. La radio scandisce le ore e tiene compagnia nella fatica della routine, ancora più evidente quando il sole non fa capolino e i cieli si fanno plumbei.
Il passaggio di cavalli e artieri ha qualcosa di surreale: si annuncia da lontano, dandoci il tempo di prepararci allo stupore, eppure l’apparizione del cavallo è improvvisa, e ricorda vagamente il modo in cui uomini e animali emergevano dalla nebbia nei film di Fellini, per il quale i cavalli erano soprattutto sinonimo di circo, illusione, di magia che dà luce e leggerezza anche agli aspetti più cupi e grevi della realtà.
Quando giungiamo alla cancellata delle scuderie di San Siro entriamo in un mondo a parte, ma che a modo suo mantiene questa strana fusione di routine quotidiana e sospensione magica della realtà: basta vedere come la tradizione lombarda delle corti e delle cascine si affianchi qui a sofisticate architetture liberty. E se all’inizio di questa esperienza associavamo il cavallo a un’immagine tradizionale un po’ “fatata” e mitica, rarefatta, ora la realtà di ogni giorno si dispiega sotto i nostri occhi.
I cavalli scrutano dai box i visitatori, e non meno guardinghi sono i tanti cani e gatti delle taglie più diverse, che decidono di seguirci e di tenerci se possibile a debita distanza dal loro mondo. La radio scandisce le ore e tiene compagnia nella fatica della routine, ancora più evidente quando il sole non fa capolino e i cieli si fanno plumbei.
Il passaggio di cavalli e artieri ha qualcosa di surreale: si annuncia da lontano, dandoci il tempo di prepararci allo stupore, eppure l’apparizione del cavallo è improvvisa, e ricorda vagamente il modo in cui uomini e animali emergevano dalla nebbia nei film di Fellini, per il quale i cavalli erano soprattutto sinonimo di circo, illusione, di magia che dà luce e leggerezza anche agli aspetti più cupi e grevi della realtà.
Le stesse scuderie, in gran parte abbandonate, sono una stranissima mescolanza di romanticismo e disillusione portata dalla crisi economica: è il caso non solo delle scuderie De Montel, vittime di decenni di incuria, ma anche delle abitazioni degli artieri e degli allenatori, per la maggior parte sfitte e incapaci di garantire all’ippica di domani una rendita economica alternativa all’universo delle scommesse.
Saliamo sulle torrette che ci offrono una buona visuale della pista di allenamento chiamata "Trenno"; quest’ultima è separata dal resto del verde e delle scuderie da lunghe siepi che ci fanno “vedere e non vedere” ciò che accade lungo la pista di sabbia. Viene allora spontaneo farsi un’altra domanda: quanto c’è di costruito nel mondo dell’ippica? Non stiamo forse visitando un mondo che per cercare di non scomparire deve fare appello al suo passato, alla sua storia?
Saliamo sulle torrette che ci offrono una buona visuale della pista di allenamento chiamata "Trenno"; quest’ultima è separata dal resto del verde e delle scuderie da lunghe siepi che ci fanno “vedere e non vedere” ciò che accade lungo la pista di sabbia. Viene allora spontaneo farsi un’altra domanda: quanto c’è di costruito nel mondo dell’ippica? Non stiamo forse visitando un mondo che per cercare di non scomparire deve fare appello al suo passato, alla sua storia?
Eppure l’ippica, come abbiamo detto, per sopravvivere deve mantenere un’aura di segreto, di mistero nei suoi itinerari e nelle sue strutture. A questo pensiamo quando raggiungiamo Villa Bellotta, la costruzione più importante delle locali scuderie, consegnata alla leggenda dal mecenatismo della famiglia Crespi: riflettiamo sulla suggestione di trasformare questa costruzione oggi in gran parte inutilizzata in un museo dell’Ippica, e ci chiediamo se la difficoltà di mettere in pratica questa idea dipenda più da bizantinismi burocratici, da interessi divergenti o da questa natura misteriosa del mondo dell’ippica con cui ci stiamo familiarizzando. È anche vero però che una storia, per sopravvivere, oltre ad avere un pubblico, deve avere anche qualcuno che voglia continuare a raccontarla…
Ci riavviciniamo all’ingresso delle scuderie seguendo il tragitto che i cavalli percorrono per tornare ai box e riposare una volta concluso l’allenamento del mattino: le orme umane si sovrappongono alle tracce degli zoccoli, e sullo sfondo, con i condomini, le residenze di lusso e le case popolari, continua a incombere la dicotomia sogno-realtà, eccezione-routine che ci ha accompagnato nel tragitto iniziale.
Ci riavviciniamo all’ingresso delle scuderie seguendo il tragitto che i cavalli percorrono per tornare ai box e riposare una volta concluso l’allenamento del mattino: le orme umane si sovrappongono alle tracce degli zoccoli, e sullo sfondo, con i condomini, le residenze di lusso e le case popolari, continua a incombere la dicotomia sogno-realtà, eccezione-routine che ci ha accompagnato nel tragitto iniziale.
TRENNO: PARCHI E BORGHI, PASSATO E PRESENTE
L’itinerario procede poi nuovamente con l’autobus 78, che scende lungo via Pinerolo e ci lascia in via Harar, all’altezza del bivio con via Novara. Basta attraversare la strada e superare questo importante snodo stradale per arrivare in pochi metri all’ingresso del parco di Trenno. Il passaggio dall’abitato al parco non è meno spiazzante dell’itinerario Lotto-scuderie: in poche decine di metri, prima di immergerci nel verde, incrociamo tra caseggiati imponenti la Parrocchia di S.Elena, con la sua architettura volutamente lontana da ogni grandiosità.
E poi ancora altre visioni: “sbirciando” attraverso le reti che delimitano l'ingresso del parco si possono vedere i cavalli che al mattino si allenano lungo la dirittura della pista Trenno, mentre più in lontananza lo stadio di San Siro, nel caos portato dai cantieri M5, appare non meno surreale degli ippodromi: metà cattedrale nel deserto e metà espressione dell’orgoglio della città.
Milano: una città capace di cambiare radicalmente scenari da un angolo all’altro
Incamminandoci nel parco, vediamo come la presenza umana si faccia via via più rarefatta, senza per questo sparire. Nella passerella di sportivi e di persone che cercano semplice riposo, si susseguono immagini a sorpresa come quella di un altro cane, che questa volta, come intuiamo dai movimenti e dai buchi scavati nel terreno, cerca di afferrare tra le zampe una talpa.
Il gioco dei contrasti che abbiamo imparato a conoscere raggiunge una forza straordinaria nella scelta di collocare a Trenno il cimitero di guerra inglese, dove hanno trovato riposo i soldati del Commonwealth caduti durante la seconda guerra mondiale. Uno spazio silenzioso e curatissimo, costeggiato da un tempietto memoriale e con all’ingresso non solo un cancello simbolicamente assai stretto, ma anche una lapide con un invito alla sobrietà. Tutto attorno invece scorre e continua rumorosamente la vita, non necessariamente senza rispetto: runner, altri sportivi, automobili forse dirette al vicino centro commerciale Bonola, e le sonorità inebrianti che dalle radio accompagnano le famiglie latinoamericane impegnate a preparare picnic e grigliate.
Attraversando la strada, pressappoco di fronte alla Cascina Bellaria, si aprono aree agricole dove si è conservato al meglio il verde della zona, e minori sono stati gli interventi dell’uomo. Qui un tempo si concentrava una parte consistente di fontanili e marcite; grazie all’acqua dell’Olona la maggior parte di questi terreni è coltivabile anche in inverno, e la coltura principale è oggi a risaia.
Milano: una città capace di cambiare radicalmente scenari da un angolo all’altro
Incamminandoci nel parco, vediamo come la presenza umana si faccia via via più rarefatta, senza per questo sparire. Nella passerella di sportivi e di persone che cercano semplice riposo, si susseguono immagini a sorpresa come quella di un altro cane, che questa volta, come intuiamo dai movimenti e dai buchi scavati nel terreno, cerca di afferrare tra le zampe una talpa.
Il gioco dei contrasti che abbiamo imparato a conoscere raggiunge una forza straordinaria nella scelta di collocare a Trenno il cimitero di guerra inglese, dove hanno trovato riposo i soldati del Commonwealth caduti durante la seconda guerra mondiale. Uno spazio silenzioso e curatissimo, costeggiato da un tempietto memoriale e con all’ingresso non solo un cancello simbolicamente assai stretto, ma anche una lapide con un invito alla sobrietà. Tutto attorno invece scorre e continua rumorosamente la vita, non necessariamente senza rispetto: runner, altri sportivi, automobili forse dirette al vicino centro commerciale Bonola, e le sonorità inebrianti che dalle radio accompagnano le famiglie latinoamericane impegnate a preparare picnic e grigliate.
Attraversando la strada, pressappoco di fronte alla Cascina Bellaria, si aprono aree agricole dove si è conservato al meglio il verde della zona, e minori sono stati gli interventi dell’uomo. Qui un tempo si concentrava una parte consistente di fontanili e marcite; grazie all’acqua dell’Olona la maggior parte di questi terreni è coltivabile anche in inverno, e la coltura principale è oggi a risaia.
L’Olona e il suo canale scolmatore segnano anche il confine con il Boscoincittà, lo spazio verde nato nel 1974 sulle aree della quattrocentesca Cascina San Romano, curato fin dalle origini dall’associazione Italia Nostra e conosciuto soprattutto per due esperimenti ambientali d’avanguardia: la crescita spontanea di vegetazione che dà il nome alla zona (con intervento dell’uomo ridotto al minimo possibile) e la presenza di 140 orti a coltivazione libera.
Proseguendo ulteriormente verso ovest si giunge al limite milanese del Parco Agricolo Sud (il nome con cui sono conosciute nell’insieme le aree verdi che circondano Milano da ovest, da sud e da est): la linea che da nord a sud unisce i borghi di Figino, Quinto Romano e Baggio è tagliata dall’ultimo tratto di via Novara e comprende a sud anche il Parco delle Cave, così chiamato per le cave di ghiaia e sabbia utilizzate nella zona fino agli anni Sessanta, e famoso soprattutto per la presenza della Cascina Linterno, una delle abitazioni milanesi di Francesco Petrarca.
Se invece ci limitiamo a “circumnavigare” la via della Cascina Bellaria incontriamo tra le risaie aironi, rane e fagiani, ma non perdiamo mai la vista dei condomini di via Gorlini, che ci ricordano come la presenza umana sia, oltre che un rischio per l’ambiente, anche una certezza, un punto fermo. Perdersi è difficile.
Proseguendo ulteriormente verso ovest si giunge al limite milanese del Parco Agricolo Sud (il nome con cui sono conosciute nell’insieme le aree verdi che circondano Milano da ovest, da sud e da est): la linea che da nord a sud unisce i borghi di Figino, Quinto Romano e Baggio è tagliata dall’ultimo tratto di via Novara e comprende a sud anche il Parco delle Cave, così chiamato per le cave di ghiaia e sabbia utilizzate nella zona fino agli anni Sessanta, e famoso soprattutto per la presenza della Cascina Linterno, una delle abitazioni milanesi di Francesco Petrarca.
Se invece ci limitiamo a “circumnavigare” la via della Cascina Bellaria incontriamo tra le risaie aironi, rane e fagiani, ma non perdiamo mai la vista dei condomini di via Gorlini, che ci ricordano come la presenza umana sia, oltre che un rischio per l’ambiente, anche una certezza, un punto fermo. Perdersi è difficile.
Con questo frammento di itinerario raggiungiamo ora il quartiere di Trenno, un tempo borgo e oggi cuore, sostanza di questa zona che nel nome comune è conosciuta come “San Siro” ma è in effetti un mosaico di realtà differenti.
Di Trenno colpiscono soprattutto le case, ricche di porticati e in generale piuttosto basse, in particolare nella zona di via Ratti; uno stile che richiama alla mente certe costruzioni tipiche della Brianza, qui inserite però in un contesto più chiaramente urbano.
Nella storia di Trenno continua poi ad avere un ruolo importante la Cascina Campi (via Fratelli Rizzardi 15). Di origine ottocentesca, gestita dal 1928 dalla famiglia Campi, la Cascina è nota in tutta la città come uno degli spazi più ricchi in termini di offerta e impegno verso la sostenibilità, con fattorie didattiche, ospitalità per cavalli e uno spaccio di prodotti bio.
Di Trenno colpiscono soprattutto le case, ricche di porticati e in generale piuttosto basse, in particolare nella zona di via Ratti; uno stile che richiama alla mente certe costruzioni tipiche della Brianza, qui inserite però in un contesto più chiaramente urbano.
Nella storia di Trenno continua poi ad avere un ruolo importante la Cascina Campi (via Fratelli Rizzardi 15). Di origine ottocentesca, gestita dal 1928 dalla famiglia Campi, la Cascina è nota in tutta la città come uno degli spazi più ricchi in termini di offerta e impegno verso la sostenibilità, con fattorie didattiche, ospitalità per cavalli e uno spaccio di prodotti bio.
DA TRENNO ALL'IPPODROMO DEL GALOPPO: IL CIRCOLO APERTO
La linea rossa della metropolitana ci permette a questo punto due percorsi alternativi, come conclusione del nostro percorso: possiamo chiudere il cerchio verso est e dirigerci nuovamente in Piazzale Lotto, da dove siamo partiti; oppure possiamo aggiungere un ultimo, importante tassello.
Come scoprire le sorprese della città? Spirito di esplorazione urbana, tempo e permessi
Scendendo alla fermata M1 Lampugnano, ci troviamo subito in via Trenno, a ridosso delle ex scuderie Tesio: l'edificio è stato trasformato in un condominio, e della struttura originaria rimane solamente la portineria in stile liberty. Se proseguiamo lungo via Trenno arriviamo all'ingresso nord dell'Ippodromo del Galoppo.
Come scoprire le sorprese della città? Spirito di esplorazione urbana, tempo e permessi
Scendendo alla fermata M1 Lampugnano, ci troviamo subito in via Trenno, a ridosso delle ex scuderie Tesio: l'edificio è stato trasformato in un condominio, e della struttura originaria rimane solamente la portineria in stile liberty. Se proseguiamo lungo via Trenno arriviamo all'ingresso nord dell'Ippodromo del Galoppo.
Per raggiungere l'ingresso sud dell'Ippodromo costeggiamo il percorso usato dai cavalli per accedere alla pista, lungo la via privata del Centauro parallela alle vie Fetonte e Bisanzio (interne all'ippodromo).
La via intitolata a Federico Tesio raccoglie invece le ultime tracce di una parabola amarissima: il fantasma dell'ex Palasport, una struttura architettonica assai ammirata all'epoca della sua costruzione (metà anni Settanta) per le sue forme aerodinamiche, che purtroppo hanno favorito il crollo della struttura durante la grande nevicata del gennaio 1985 e il suo successivo abbandono.
Raggiunte le tribune del Galoppatoio, si schiude infine quel mondo che le scuderie avevano iniziato ad evocare come una promessa. Il passaggio dei cavalli che si avviano alle corse è il “dietro le quinte” di questa realtà fiabesca, o di questo sogno molto concreto e fisico. Diversamente da stadi e arene, nella zona sud le postazioni “popolari” a gradoni sono poste a fianco delle elegantissime tribune d’onore: la struttura di queste ultime, con gli steccati bassi, l’ampia tettoia, i porticati e le vetrate ad arco, richiama invece l’architettura degli stabilimenti termali o addirittura balneari di inizio Novecento.
La via intitolata a Federico Tesio raccoglie invece le ultime tracce di una parabola amarissima: il fantasma dell'ex Palasport, una struttura architettonica assai ammirata all'epoca della sua costruzione (metà anni Settanta) per le sue forme aerodinamiche, che purtroppo hanno favorito il crollo della struttura durante la grande nevicata del gennaio 1985 e il suo successivo abbandono.
Raggiunte le tribune del Galoppatoio, si schiude infine quel mondo che le scuderie avevano iniziato ad evocare come una promessa. Il passaggio dei cavalli che si avviano alle corse è il “dietro le quinte” di questa realtà fiabesca, o di questo sogno molto concreto e fisico. Diversamente da stadi e arene, nella zona sud le postazioni “popolari” a gradoni sono poste a fianco delle elegantissime tribune d’onore: la struttura di queste ultime, con gli steccati bassi, l’ampia tettoia, i porticati e le vetrate ad arco, richiama invece l’architettura degli stabilimenti termali o addirittura balneari di inizio Novecento.
Con il via alla corsa del sabato, i cavalli danno tutto quello che hanno: così tutta quell ’energia che finora era stata trattenuta si libera, e ci si chiede cosa passi non solo nella mente dell’animale, ma anche in quelle del fantino e del turista.
Il traguardo è anche un punto di arrivo per gli occhi del visitatore, che è giunto fino a questo punto attraversando tracce di campagna, sogni architettonici e urbanistica popolare, giardini, frammenti di autostrada, piscine e cimiteri.
Se a Milano c’è tutto, è proprio da San Siro e da Trenno che conviene partire per inventare nuove strategie turistiche capaci di esaltare questa dimensione di città che traccia un percorso, una linea di congiunzione tra gli opposti, tra la partenza e l’arrivo: benzina e cavalli, scatto futurista di energia e riposo contemplativo, “zucchero e catrame”.
Il traguardo è anche un punto di arrivo per gli occhi del visitatore, che è giunto fino a questo punto attraversando tracce di campagna, sogni architettonici e urbanistica popolare, giardini, frammenti di autostrada, piscine e cimiteri.
Se a Milano c’è tutto, è proprio da San Siro e da Trenno che conviene partire per inventare nuove strategie turistiche capaci di esaltare questa dimensione di città che traccia un percorso, una linea di congiunzione tra gli opposti, tra la partenza e l’arrivo: benzina e cavalli, scatto futurista di energia e riposo contemplativo, “zucchero e catrame”.
DIVAGANDO SUL TEMA
Pensate che il modo ideale di percorrere il nostro itinerario sia a cavallo, ma non disponete di un cavallo? Una bici e un pizzico di immaginazione possono ovviare a questo ostacolo. Basta infatti risalire con la mente al progenitore di questo mezzo, il velocipede (quello inventato dal barone Karl Drais von Sauerbronn, con due ruote di legno a otto raggi, che avanzava grazie alla spinta dei piedi sul terreno) e ricordare che in Inghilterra, dove fu brevettato nel dicembre 1818, venne chiamato hobby horse. Nelle moderne bici si è perso, anche in inglese, ogni legame col mondo equestre, in compenso si sono aggiunti i pedali, e non è poco.
Una bici permetterà di fare velocemente alcune brevi diversioni dal percorso principale alla scoperta di curiosità nascoste o alla riscoperta di punti di interesse ormai assimilati nell'invisibile quotidiano; tutti luoghi nel raggio di un chilometro da piazzale Lotto o dall'accesso sud del Parco di Trenno e quindi raggiungibili facilmente anche a piedi, se ci si muove con i mezzi pubblici e si dispone di un paio d'ore in più.
La meridiana zodiacale raffigurante una donna a cavallo sulla parete laterale della villetta in piazzale Brescia 10, benché non risalente a quell'epoca, ci ricorda che l'asse principale del primo Ippodromo del galoppo (1888) era orientato in direzione nord-sud, e correva proprio lungo gli attuali viali di circonvallazione, dove l'Olona fu poi deviato e canalizzato agli inizi del XX secolo. La collocazione odierna dell'impianto, con l'asse ruotato rispetto all'originale e orientato in direzione est-ovest, verso la periferia, fu una novità introdotta con la ristrutturazione del 1920.
A poco meno di 300 metri verso nord, nel folto giardino tra via Spagnoletto e via Paris Bordone, si intravedono i resti della Cascina Bolla, costruita nel Quattrocento in stile tardo gotico come abitazione di campagna della potente famiglia Caimi, poi ceduta a fine secolo al giureconsulto Giuseppe Bolla, da cui prese il nome. Tradizione vuole che vi abbia soggiornato Leonardo durante i lavori per la realizzazione del Cenacolo in Santa Maria delle Grazie. Nel XVII secolo l’area passò ai Visconti di Modrone, che ne rimasero proprietari fino alla fine dell’Ottocento. In seguito, il declino: la cascina – acquistata dal Comune di Milano negli anni Venti – fu parzialmente demolita per far spazio alla nuova viabilità, ospitò durante il ventennio l’Opera nazionale balilla e la Gioventù italiana del littorio e fu, infine, gravemente danneggiata da un bombardamento nel 1941. Ciò che rimase della vecchia struttura, nel dopoguerra è stato restaurato e incorporato in una villa privata ed è oggi tutelato dal Ministero dei beni culturali. Da via Paris Bordone sono visibili, tra gli alti pioppi, l’ingresso e la torretta.
Proseguendo in direzione nord, si arriva dopo neanche 500 metri alla nuova sede de Il Sole 24 ore (ingresso su via Monte Rosa 91), progetto che ha segnato il ritorno a Milano di Renzo Piano a cavallo del 2000, trent'anni e un'illimitata fama dopo la sua prima opera milanese, i padiglioni per la XIV Triennale, realizzata agli inizi della carriera.
L'edificio, frutto della radicale ristrutturazione di due corpi di fabbrica occupati in precedenza dalla Siemens-Italtel, e prima ancora dalla Isotta Fraschini (auto di lusso), ha rappresentato uno dei primi e più riusciti interventi di riqualificazione industriale in zona. Ispirandosi alla funzione dell'immobile, da sempre tema centrale nei suoi progetti, Piano concepisce “un edificio in ascolto”, che esprime la vocazione giornalistica (“saper ascoltare per poter comunicare”) attraverso l'uso della trasparenza. Le facciate esterne sono in gran parte in doppio vetro schermato da un sistema misto di filtraggio e oscuramento con oltre 1.100 tende di color verde mela, che, oltre a esaltare il senso di leggerezza, stabiliscono un rapporto con il verde naturale del giardino interno. Questo accoglie un grande parco dominato dalla presenza di una collinetta alberata artificiale, che raggiunge i 13 metri di altezza, al di sotto della quale si trovano un auditorium, la mensa e i parcheggi. L'edificio è ancora oggi uno degli esempi più avanzati di intervento sostenibile e a basso consumo energetico in Italia: le tende verdi, ad esempio, gestite automaticamente, sono collegate a stazioni meteorologiche poste sul tetto che controllano temperatura, umidità, luce solare.
Per restare in tema e in compagnia di archistar, ci spostiamo di un altro chilometro verso nord, dove ci attendono altre riqualificazioni su ben più vasta scala. Ci troviamo in viale Serra, al Portello, un'area che deve il suo nome a un'apertura minore nella vecchia cinta daziaria della città e il suo destino industriale alla centralità rispetto alle vie di comunicazione verso Svizzera e Francia. Per quasi tutto il Novecento, la storia del Portello è indissolubilmente legata agli stabilimenti industriali dell'Alfa Romeo, a partire dal 1909, quando la Anonima lombarda fabbrica automobili acquisì lo stabilimento già utilizzato da altri marchi automobilistici (Darracq e Isotta Fraschini), fino al 1982, anno della definitiva dismissione dopo il progressivo spostamento della produzione ad Arese, iniziato nel secondo dopoguerra.
Dapprima individuata insieme al Portello Sud come sito per la nuova Fiera, dopo la decisione di ricollocare quest'ultima nei comuni di Rho e Pero a metà degli anni Novanta, l'area di Portello Nord (27 ettari separati da viale Serra) diventa un laboratorio di proposte per un nuovo abitare, con zone residenziali, direzionali e commerciali, un parco urbano, parcheggi, ecc.
Spesso a Milano dove c'è riqualificazione urbana c'è collinetta, e anche il Portello non fa eccezione. Sul lato nord di viale Serra i detriti hanno fornito il materiale di base per le tre colline che rappresentano preistoria, storia e futuro nel parco Time Walk (65.000 mq), progetto paesaggistico di Charles Jencks e Andreas Kipar, in cui lo scorrere del tempo ritorna simbolicamente nel tema ricorrente della spirale: la collina tonda, Helix, ospita in cima una scultura a elica dedicata al Dna. Il parco si inserisce nella “direttrice verde” che dal parco Sempione giunge al Monte Stella attraverso Citylife e il Portello.
Sul lato opposto del viale, il progetto dello studio Valle per quello che è denominato quartiere Vittoria include, oltre a tre edifici direzionali, una piazza pedonale di oltre 20.000 mq a forma di ventaglio, destinata a diventare la più grande di Milano, più estesa di quelle della Stazione Centrale (18.000 mq) e del Duomo (14.000 mq). La piazza ha una pendenza del 5% e, nel punto più alto, prosegue nella passerella ciclo-pedonale che scavalca viale Serra e collega le torri di uffici del quartiere Vittoria al parco Time Walk. La struttura, lunga 90 metri e realizzata su progetto dello studio Ove Arup (autore della Sidney Opera House e del London Eye, la ruota panoramica di Londra), ha un vago sapore di risarcimento nell'ottica della mobilità sostenibile, dopo che in passato sono stati spesi oltre 100 milioni di euro per un tunnel automobilistico reso pressoché superfluo dalla successiva decisione di trasferire la fiera a Rho.
Ben altre gallerie attraversavano l'area industriale durante la seconda guerra mondiale, quando negli stabilimenti Alfa Romeo si producevano i motori degli Junkers Ju 87 (detti anche Stukas) e, secondo alcune fonti, c'erano anche vari ambienti sotterranei destinati alla produzione di materiale bellico. Ma il luogo simbolo degli orrori della guerra in questa zona di Milano non va cercato sotto terra, bensì nelle eleganti vie davanti a piazzale Lotto.
Una bici permetterà di fare velocemente alcune brevi diversioni dal percorso principale alla scoperta di curiosità nascoste o alla riscoperta di punti di interesse ormai assimilati nell'invisibile quotidiano; tutti luoghi nel raggio di un chilometro da piazzale Lotto o dall'accesso sud del Parco di Trenno e quindi raggiungibili facilmente anche a piedi, se ci si muove con i mezzi pubblici e si dispone di un paio d'ore in più.
La meridiana zodiacale raffigurante una donna a cavallo sulla parete laterale della villetta in piazzale Brescia 10, benché non risalente a quell'epoca, ci ricorda che l'asse principale del primo Ippodromo del galoppo (1888) era orientato in direzione nord-sud, e correva proprio lungo gli attuali viali di circonvallazione, dove l'Olona fu poi deviato e canalizzato agli inizi del XX secolo. La collocazione odierna dell'impianto, con l'asse ruotato rispetto all'originale e orientato in direzione est-ovest, verso la periferia, fu una novità introdotta con la ristrutturazione del 1920.
A poco meno di 300 metri verso nord, nel folto giardino tra via Spagnoletto e via Paris Bordone, si intravedono i resti della Cascina Bolla, costruita nel Quattrocento in stile tardo gotico come abitazione di campagna della potente famiglia Caimi, poi ceduta a fine secolo al giureconsulto Giuseppe Bolla, da cui prese il nome. Tradizione vuole che vi abbia soggiornato Leonardo durante i lavori per la realizzazione del Cenacolo in Santa Maria delle Grazie. Nel XVII secolo l’area passò ai Visconti di Modrone, che ne rimasero proprietari fino alla fine dell’Ottocento. In seguito, il declino: la cascina – acquistata dal Comune di Milano negli anni Venti – fu parzialmente demolita per far spazio alla nuova viabilità, ospitò durante il ventennio l’Opera nazionale balilla e la Gioventù italiana del littorio e fu, infine, gravemente danneggiata da un bombardamento nel 1941. Ciò che rimase della vecchia struttura, nel dopoguerra è stato restaurato e incorporato in una villa privata ed è oggi tutelato dal Ministero dei beni culturali. Da via Paris Bordone sono visibili, tra gli alti pioppi, l’ingresso e la torretta.
Proseguendo in direzione nord, si arriva dopo neanche 500 metri alla nuova sede de Il Sole 24 ore (ingresso su via Monte Rosa 91), progetto che ha segnato il ritorno a Milano di Renzo Piano a cavallo del 2000, trent'anni e un'illimitata fama dopo la sua prima opera milanese, i padiglioni per la XIV Triennale, realizzata agli inizi della carriera.
L'edificio, frutto della radicale ristrutturazione di due corpi di fabbrica occupati in precedenza dalla Siemens-Italtel, e prima ancora dalla Isotta Fraschini (auto di lusso), ha rappresentato uno dei primi e più riusciti interventi di riqualificazione industriale in zona. Ispirandosi alla funzione dell'immobile, da sempre tema centrale nei suoi progetti, Piano concepisce “un edificio in ascolto”, che esprime la vocazione giornalistica (“saper ascoltare per poter comunicare”) attraverso l'uso della trasparenza. Le facciate esterne sono in gran parte in doppio vetro schermato da un sistema misto di filtraggio e oscuramento con oltre 1.100 tende di color verde mela, che, oltre a esaltare il senso di leggerezza, stabiliscono un rapporto con il verde naturale del giardino interno. Questo accoglie un grande parco dominato dalla presenza di una collinetta alberata artificiale, che raggiunge i 13 metri di altezza, al di sotto della quale si trovano un auditorium, la mensa e i parcheggi. L'edificio è ancora oggi uno degli esempi più avanzati di intervento sostenibile e a basso consumo energetico in Italia: le tende verdi, ad esempio, gestite automaticamente, sono collegate a stazioni meteorologiche poste sul tetto che controllano temperatura, umidità, luce solare.
Per restare in tema e in compagnia di archistar, ci spostiamo di un altro chilometro verso nord, dove ci attendono altre riqualificazioni su ben più vasta scala. Ci troviamo in viale Serra, al Portello, un'area che deve il suo nome a un'apertura minore nella vecchia cinta daziaria della città e il suo destino industriale alla centralità rispetto alle vie di comunicazione verso Svizzera e Francia. Per quasi tutto il Novecento, la storia del Portello è indissolubilmente legata agli stabilimenti industriali dell'Alfa Romeo, a partire dal 1909, quando la Anonima lombarda fabbrica automobili acquisì lo stabilimento già utilizzato da altri marchi automobilistici (Darracq e Isotta Fraschini), fino al 1982, anno della definitiva dismissione dopo il progressivo spostamento della produzione ad Arese, iniziato nel secondo dopoguerra.
Dapprima individuata insieme al Portello Sud come sito per la nuova Fiera, dopo la decisione di ricollocare quest'ultima nei comuni di Rho e Pero a metà degli anni Novanta, l'area di Portello Nord (27 ettari separati da viale Serra) diventa un laboratorio di proposte per un nuovo abitare, con zone residenziali, direzionali e commerciali, un parco urbano, parcheggi, ecc.
Spesso a Milano dove c'è riqualificazione urbana c'è collinetta, e anche il Portello non fa eccezione. Sul lato nord di viale Serra i detriti hanno fornito il materiale di base per le tre colline che rappresentano preistoria, storia e futuro nel parco Time Walk (65.000 mq), progetto paesaggistico di Charles Jencks e Andreas Kipar, in cui lo scorrere del tempo ritorna simbolicamente nel tema ricorrente della spirale: la collina tonda, Helix, ospita in cima una scultura a elica dedicata al Dna. Il parco si inserisce nella “direttrice verde” che dal parco Sempione giunge al Monte Stella attraverso Citylife e il Portello.
Sul lato opposto del viale, il progetto dello studio Valle per quello che è denominato quartiere Vittoria include, oltre a tre edifici direzionali, una piazza pedonale di oltre 20.000 mq a forma di ventaglio, destinata a diventare la più grande di Milano, più estesa di quelle della Stazione Centrale (18.000 mq) e del Duomo (14.000 mq). La piazza ha una pendenza del 5% e, nel punto più alto, prosegue nella passerella ciclo-pedonale che scavalca viale Serra e collega le torri di uffici del quartiere Vittoria al parco Time Walk. La struttura, lunga 90 metri e realizzata su progetto dello studio Ove Arup (autore della Sidney Opera House e del London Eye, la ruota panoramica di Londra), ha un vago sapore di risarcimento nell'ottica della mobilità sostenibile, dopo che in passato sono stati spesi oltre 100 milioni di euro per un tunnel automobilistico reso pressoché superfluo dalla successiva decisione di trasferire la fiera a Rho.
Ben altre gallerie attraversavano l'area industriale durante la seconda guerra mondiale, quando negli stabilimenti Alfa Romeo si producevano i motori degli Junkers Ju 87 (detti anche Stukas) e, secondo alcune fonti, c'erano anche vari ambienti sotterranei destinati alla produzione di materiale bellico. Ma il luogo simbolo degli orrori della guerra in questa zona di Milano non va cercato sotto terra, bensì nelle eleganti vie davanti a piazzale Lotto.
Torniamo quindi indietro verso il piazzale per una breve sosta in via Paolo Uccello. La villa al n. 9, di origini molto antiche e dichiarata monumento nazionale già nel 1911, fu acquistata all'inizio del secolo scorso dalla famiglia Fossati, che volle riportarla all'antico splendore ripristinandone l'impianto rinascimentale. Durante la seconda guerra mondiale, tuttavia, i bombardamenti indussero i proprietari ad allontanarsi da Milano e abbandonare la villa. Nel giugno 1944 vi si insediò il reparto speciale della Repubblica sociale italiana ai comandi di Pietro Koch, una delle bande fasciste più efferate, e la villa fu trasformata in un centro di detenzione e tortura; da qui il nome di Villa Triste, mutuato da un analogo luogo di Firenze. Proteste e pressioni da vari ambienti – intervenne lo stesso cardinal Schuster – portarono dopo pochi mesi alla chiusura della villa e all'arresto della banda da parte di miliziani rivali. Dopo la guerra, la famiglia Fossati rientrò in possesso della villa, ma non volle più tornare a viverci e l'edificio fu donato a un istituto missionario, che a sua volta lo donò alle suore missionarie dell'Immacolata. Koch fu giustiziato a Roma il 5 giugno 1945; la sua esecuzione fu filmata da un giovane regista, Luchino Visconti, testimone diretto dei metodi della banda a villa Triste.
La macchina da presa di Visconti ci riporta indietro per un momento alle atmosfere industriali anni Sessanta del Portello, dove il regista girò il finale del film Rocco e i suoi fratelli, in cui i due fratelli più giovani si incontrano durante una pausa del maggiore, che lavora come operaio all'Alfa Romeo. L'intero film, ispirato ai racconti di Giovanni Testori, è ambientato nel mondo popolare della periferia milanese poco distante dagli stabilimenti dell'Alfa. Sempre in ambito cinematografico, ma in questo caso senza alcun riferimento alla loro funzione originaria, i capannoni furono scelti come location da Gabriele Salvatores nel 1997 per le riprese di Nirvana, pochi anni prima della loro definitiva demolizione. Esiste tuttora, invece, la villa recintata e chiusa da un imponente cancello in via Palatino 16, a fianco dell'Ippodromo del trotto, in cui Pier Paolo Pasolini girò nel 1968 Teorema, dissacrante parabola sulla perdita di identità dell'alta borghesia industriale, incapace di confrontarsi con un “altro” che sfugge alle sue categorie predefinite e destinata quindi a scoprire il proprio isolamento esistenziale e il vuoto intorno a sé.
Da via Palatino proseguiamo verso ovest per l'ultima divagazione alla scoperta del quartiere razionalista Harar-Dessiè, facilmente raggiungibile anche dal Parco di Trenno, uscendo a sud su via Harar e ripercorrendo quest'ultima verso il centro città. Il quartiere fu progettato nel 1951 da Gio Ponti, architetto e designer milanese, autore qualche anno dopo del grattacielo Pirelli, e dai maggiori esponenti del razionalismo italiano (Figini, Pollini, Bottoni, ecc.). Nel punto in cui le vie Harar e Dessiè incrociano via Patroclo, i due edifici più interessanti: il grattacielo orizzontale bianco-giallo di via Harar, uno dei due palazzi progettati direttamente da Gio Ponti, e il grattacielo orizzontale rosso di via Dessiè, progettato da Gianluigi Reggio e Mario Tevarotto, caratterizzati entrambi da un uso intenso del colore, considerato come un aspetto essenziale della determinazione della forma.
La macchina da presa di Visconti ci riporta indietro per un momento alle atmosfere industriali anni Sessanta del Portello, dove il regista girò il finale del film Rocco e i suoi fratelli, in cui i due fratelli più giovani si incontrano durante una pausa del maggiore, che lavora come operaio all'Alfa Romeo. L'intero film, ispirato ai racconti di Giovanni Testori, è ambientato nel mondo popolare della periferia milanese poco distante dagli stabilimenti dell'Alfa. Sempre in ambito cinematografico, ma in questo caso senza alcun riferimento alla loro funzione originaria, i capannoni furono scelti come location da Gabriele Salvatores nel 1997 per le riprese di Nirvana, pochi anni prima della loro definitiva demolizione. Esiste tuttora, invece, la villa recintata e chiusa da un imponente cancello in via Palatino 16, a fianco dell'Ippodromo del trotto, in cui Pier Paolo Pasolini girò nel 1968 Teorema, dissacrante parabola sulla perdita di identità dell'alta borghesia industriale, incapace di confrontarsi con un “altro” che sfugge alle sue categorie predefinite e destinata quindi a scoprire il proprio isolamento esistenziale e il vuoto intorno a sé.
Da via Palatino proseguiamo verso ovest per l'ultima divagazione alla scoperta del quartiere razionalista Harar-Dessiè, facilmente raggiungibile anche dal Parco di Trenno, uscendo a sud su via Harar e ripercorrendo quest'ultima verso il centro città. Il quartiere fu progettato nel 1951 da Gio Ponti, architetto e designer milanese, autore qualche anno dopo del grattacielo Pirelli, e dai maggiori esponenti del razionalismo italiano (Figini, Pollini, Bottoni, ecc.). Nel punto in cui le vie Harar e Dessiè incrociano via Patroclo, i due edifici più interessanti: il grattacielo orizzontale bianco-giallo di via Harar, uno dei due palazzi progettati direttamente da Gio Ponti, e il grattacielo orizzontale rosso di via Dessiè, progettato da Gianluigi Reggio e Mario Tevarotto, caratterizzati entrambi da un uso intenso del colore, considerato come un aspetto essenziale della determinazione della forma.