Zoccoli e criniere
C’è un posto a Milano in cui sembra di trovarsi in un secolo passato: strade di terra e balle di paglia preservano cavalli e uomini appassionati dell’ippica che, gelosi di questa memoria, portano avanti una tradizione a rischio di estinzione.
I COLORI DELLE CORSE
Un po’ come nel paese delle meraviglie dell’Alice di Walt Disney, all’ippodromo si possono incontrare personaggi dai profili davvero curiosi, che si susseguono ciascuno col proprio ruolo, in una sfilata di forme e colori fra i più variegati.
Prima dell’inizio della corsa, una parata di donne vestite da gentiluomini d’altri tempi, accompagna i protagonisti dell’evento: con guanti, cilindro e giacca neri, col viso velato da una leggera retina, quasi a voler nascondere il loro esser dame, portano i cavalli, che avanzano come giganti dal passo elegante, orgogliosi nella loro imponenza. Poco dopo un’altra squadra, questa volta di cavalieri bianchi, ornati da cappelli in stile Napoleone Bonaparte, con fare ancor più austero rispetto a quello dei propri cavalli, avanza facendosi spazio fra il pubblico impaziente, arrivato da tutta Milano per assistere alla corsa. Uomini scattanti, con l’espressione tesa, corrono da una parte all’altra delle scuderie: sono i proprietari dei cavalli. Ansiosi, come il ritardatario Bianconiglio guardano di continuo l’orologio, con la speranza che tutto sia pronto per la competizione.
Nel frattempo gentiluomini accompagnati da signore dall’aria altolocata e dall’abbigliamento caratteristico, cercano il loro posto fra le tribune. Si sono impegnate a lungo per non aver eguali; sfoggiano ciascuna un copricapo dalla forma e dal colore tali da farle somigliare a fiori animati, come quelli che insegnavano a cantare ad Alice lungo il suo viaggio nel paese sconosciuto.
Lo sciame multicolore continua la sua corsa accelerata verso la meta, cominciando a perdere unità, fino a che è decretato il vincitore
All’apertura dei cancelli, come uno sciame di insetti variopinti, partono i cavalli veloci con i fantini sul dorso. Tutti in gruppo, ma ciascuno riconoscibile grazie alle giubbe dai vari colori, che ognuno si è scelto per differenziarsi dagli altri, con la speranza poi di vederli volare in cielo durante i festeggiamenti per il primo posto. I possenti animali formano un gruppo dalle sfumature dei colori della terra. Marroni, rossicci e neri sono i cavalli che corrono come fossero liberi e selvaggi, alla ricerca di nuove praterie da abitare.
Lo sciame multicolore continua la sua corsa accelerata verso la meta, cominciando a perdere unità, fino a che è decretato il vincitore
All’apertura dei cancelli, come uno sciame di insetti variopinti, partono i cavalli veloci con i fantini sul dorso. Tutti in gruppo, ma ciascuno riconoscibile grazie alle giubbe dai vari colori, che ognuno si è scelto per differenziarsi dagli altri, con la speranza poi di vederli volare in cielo durante i festeggiamenti per il primo posto. I possenti animali formano un gruppo dalle sfumature dei colori della terra. Marroni, rossicci e neri sono i cavalli che corrono come fossero liberi e selvaggi, alla ricerca di nuove praterie da abitare.
Lo sciame multicolore continua la sua corsa accelerata verso la meta, cominciando a perdere unità, fino a che è decretato il vincitore. Grande esultanza si leva dal pubblico che, come un campo di fiori mosso dal vento, si alza dal proprio posto ed esplode in uno scroscio di applausi. Finalmente quei colori scelti con pazienza e speranza vengono fatti volare in aria, insieme al fantino che li indossa e che li ha condotti alla vittoria.
Le celebrazioni giungono al termine e la premiazione si è conclusa. Chi più soddisfatto e chi meno, tutti lasciano questo luogo delle meraviglie e tornano alla quotidianità della città, proprio come Alice che, risvegliandosi dal sogno, trova attorno a sé la solita realtà ma si sente appagata per aver partecipato a uno spettacolo unico e caleidoscopico.
Le celebrazioni giungono al termine e la premiazione si è conclusa. Chi più soddisfatto e chi meno, tutti lasciano questo luogo delle meraviglie e tornano alla quotidianità della città, proprio come Alice che, risvegliandosi dal sogno, trova attorno a sé la solita realtà ma si sente appagata per aver partecipato a uno spettacolo unico e caleidoscopico.
MASLOGARTH: STORIA DI UN CAVALLO
L’11 marzo 1984 è la data di nascita di un cavallo che oggi è considerato la mascotte di San Siro, data la sua età di 29 anni, traguardo difficile da raggiungere per i suoi simili. Si tratta di Maslogarth, il “nonno”, figlio dello stallone italiano Hogarth e di Maslovskaya, cavallina francese di nascita. Nato a Peccioli, in provincia di Pisa, presso l’azienda agricola I Mandorli, dopo lo svezzamento all’età di un anno e mezzo, Maslogarth viene portato a Settimo Milanese, dove si svolgono le più importanti aste di cavalli del nord Italia, per essere venduto. Lì un ometto, a sua volta di origini toscane, l'aveva già notato. Si trattava di Angelo Garbati, prima fantino poi allenatore e artiere, trasferitosi a Milano da Grosseto per seguire la sua passione.
Angelo riuscì a portarsi a casa il cavallo desiderato e da quel giorno, il 22 ottobre del 1985, cominciò la loro vita insieme
Angelo conosceva già Maslogarth: sapeva chi era suo padre, perché l'aveva domato lui stesso ai tempi del suo impiego presso la Dormello Olgiata, la gloriosa scuderia appartenuta a Federico Tesio. Per questo motivo Angelo teneva particolarmente ad averlo. Il puledro aveva alcune caratteristiche che non lo rendevano molto appetibile per un proprietario di purosangue da corsa: per prima cosa, si era ferito a una zampa posteriore e, non essendo stato opportunamente curato, avrebbe sicuramente riportato una cicatrice molto visibile anche in futuro; il secondo punto di svantaggio era nel suo atteggiamento. Il cavallo era leggermente affetto dal cosiddetto “ballo dell’orso”, cioè da quell’atteggiamento, o “vizio da scuderia”, che induce l’animale a continui e nervosi movimenti laterali quando è in posizione di riposo, sintomo di un carattere lievemente agitato, non ideale per un cavallo che deve sostenere le pressioni delle corse. Questi due elementi permettevano ad Angelo di sperare che Maslogarth non avrebbe attratto particolari attenzioni e che dunque avrebbe avuto maggiori possibilità di comprarlo facilmente. Così fu.
Angelo conosceva già Maslogarth: sapeva chi era suo padre, perché l'aveva domato lui stesso ai tempi del suo impiego presso la Dormello Olgiata, la gloriosa scuderia appartenuta a Federico Tesio. Per questo motivo Angelo teneva particolarmente ad averlo. Il puledro aveva alcune caratteristiche che non lo rendevano molto appetibile per un proprietario di purosangue da corsa: per prima cosa, si era ferito a una zampa posteriore e, non essendo stato opportunamente curato, avrebbe sicuramente riportato una cicatrice molto visibile anche in futuro; il secondo punto di svantaggio era nel suo atteggiamento. Il cavallo era leggermente affetto dal cosiddetto “ballo dell’orso”, cioè da quell’atteggiamento, o “vizio da scuderia”, che induce l’animale a continui e nervosi movimenti laterali quando è in posizione di riposo, sintomo di un carattere lievemente agitato, non ideale per un cavallo che deve sostenere le pressioni delle corse. Questi due elementi permettevano ad Angelo di sperare che Maslogarth non avrebbe attratto particolari attenzioni e che dunque avrebbe avuto maggiori possibilità di comprarlo facilmente. Così fu.
A due anni Maslogarth già lavorava per diventare un campione e, grazie anche all’abilità del suo allenatore, ha raggiunto ottimi risultati
Angelo riuscì a portarsi a casa il cavallo desiderato e da quel giorno, il 22 ottobre del 1985, cominciò la loro vita insieme. A due anni Maslogarth già lavorava per diventare un campione e, grazie anche all’abilità del suo allenatore, ha raggiunto ottimi risultati: si è impegnato in oltre settanta corse, ottenendo diverse vittorie su distanze comprese tra i 1500 e i 2000 metri, ed è stato cavalcato, dopo il ritiro di Angelo (che concluse la sua carriera a sessant’anni con una vittoria a Varese, in sella naturalmente a Maslogarth), da altri importanti fantini. A undici anni anche per il “nonno” era giunto il momento di chiudere la sua attività agonistica. Questo però non ha segnato la fine delle glorie per il cavallo e per il suo allenatore: innanzitutto il suo carattere docile e paziente ha permesso di poterlo impiegare come cavallo scuola per giovani fantini, allievi, amazzoni e tuttora anche per principianti alle prime cavalcate.Oltre a questa attività, Maslogarth ha spesso prestato la sua immagine per pubblicità, sia attinenti all’attività dell’ippodromo, sia per prodotti non esclusivamente relativi al mondo dell’ippica, come servizi fotografici di alta moda. Come ringraziamento per la disponibilità e la dedizione di Angelo Garbati al suo cavallo, la Società milanese corse cavalli dal 1995 offre ospitalità gratuita a Maslogarth nel box che ha da sempre occupato. Il “nonno” ultimamente è diventato una grande attrazione per bambini e ragazzini che vengono spesso a trovarlo presso le scuderie e come dimostrazione del loro affetto gli lasciano dei disegni, che insieme a numerose fotografie tappezzano interamente le pareti del piccolo “ufficio” di Angelo. Quello di cui l’ometto sembra essere più soddisfatto ed orgoglioso è che il suo cavallo, come dice lui stesso, ha fatto divertire tanti fantini: un talento che conserva tuttora, visto che, oltre ai bambini, la prima persona che con lui continua a divertirsi è il suo allenatore.
Angelo riuscì a portarsi a casa il cavallo desiderato e da quel giorno, il 22 ottobre del 1985, cominciò la loro vita insieme. A due anni Maslogarth già lavorava per diventare un campione e, grazie anche all’abilità del suo allenatore, ha raggiunto ottimi risultati: si è impegnato in oltre settanta corse, ottenendo diverse vittorie su distanze comprese tra i 1500 e i 2000 metri, ed è stato cavalcato, dopo il ritiro di Angelo (che concluse la sua carriera a sessant’anni con una vittoria a Varese, in sella naturalmente a Maslogarth), da altri importanti fantini. A undici anni anche per il “nonno” era giunto il momento di chiudere la sua attività agonistica. Questo però non ha segnato la fine delle glorie per il cavallo e per il suo allenatore: innanzitutto il suo carattere docile e paziente ha permesso di poterlo impiegare come cavallo scuola per giovani fantini, allievi, amazzoni e tuttora anche per principianti alle prime cavalcate.Oltre a questa attività, Maslogarth ha spesso prestato la sua immagine per pubblicità, sia attinenti all’attività dell’ippodromo, sia per prodotti non esclusivamente relativi al mondo dell’ippica, come servizi fotografici di alta moda. Come ringraziamento per la disponibilità e la dedizione di Angelo Garbati al suo cavallo, la Società milanese corse cavalli dal 1995 offre ospitalità gratuita a Maslogarth nel box che ha da sempre occupato. Il “nonno” ultimamente è diventato una grande attrazione per bambini e ragazzini che vengono spesso a trovarlo presso le scuderie e come dimostrazione del loro affetto gli lasciano dei disegni, che insieme a numerose fotografie tappezzano interamente le pareti del piccolo “ufficio” di Angelo. Quello di cui l’ometto sembra essere più soddisfatto ed orgoglioso è che il suo cavallo, come dice lui stesso, ha fatto divertire tanti fantini: un talento che conserva tuttora, visto che, oltre ai bambini, la prima persona che con lui continua a divertirsi è il suo allenatore.
LE SCUDERIE VECCHIE
Oggi è difficile pensare a Milano e alla Brianza come riserve di aria salubre e di verde. Eppure la storia della città è sempre stata legata a grandi spazi incontaminati, parchi, cascine, ville e corti che nei secoli sono state amate da grandi proprietari terrieri e industriali stranieri, desiderosi di soggiornare in mezzo alla tranquillità e di lasciare anche ai posteri un segno della loro presenza. Le scuderie di San Siro rientrano in questa tradizione, che possiamo ritrovare incamminandoci dal quartiere Lampugnano e muovendoci verso i villaggi in stile inglese di via Ippodromo. Tutto intorno alla strada asfaltata, casette a schiera dialogano con i condomini di lusso realizzati a partire dagli anni Settanta, dove abitano i calciatori di Milan e Inter; ma quando entriamo nelle scuderie vere e proprie, e iniziamo a passeggiare tra le aie, i box dei cavalli e le abitazioni degli artieri, siamo già pronti a entrare in un’altra epoca.
Scopriamo così come le scuderie siano nate a fine Ottocento, grazie alle risorse portate dalla seconda Rivoluzione Industriale, e dai suoi protagonisti: industriali e banchieri di origine inglese, francese e svizzera, molti dei quali appassionati di ippica e cultura equestre.
Scopriamo così come le scuderie siano nate a fine Ottocento, grazie alle risorse portate dalla seconda Rivoluzione Industriale, e dai suoi protagonisti: industriali e banchieri di origine inglese, francese e svizzera, molti dei quali appassionati di ippica e cultura equestre.
Anche la Villa Bellotta, dove visse un altro grande fantino, Federico Regoli, e che ancor prima fu sede di un’altra importante famiglia ippica dei tempi d’oro, i Crespi, è da tempo abbandonata
Il risultato? Proprio le scuderie, con la loro architettura rispettosa del verde e con l’armonia di architetture tra i villaggi dei lavoratori e le ville in stile Liberty dei proprietari e allevatori; ma anche il cinquantennio d’oro dell’ippica, iniziato a fine ‘800 e spezzato dalla seconda Guerra mondiale. Infatti è a inizio Novecento che Milano diventa una delle capitali dell’ippica mondiale, grazie alla rivalità tra i cavalli del nobile banchiere De Montel e quelli di Federico Tesio, portatore di una visione moderna nel mondo dell’imprenditoria ippica e scopritore di grandi purosangue come Nearco e Ribot.
Una gloria che oggi però rischia di perdersi: le scuderie De Montel sono da tempo abbandonate a se stesse, e la residenza Liberty di Tesio è stata completamente demolita e trasformata in condominio (della struttura originale è rimasta solo la portineria); anche la Villa Bellotta, nel centro d’allenamento, dove visse un altro grande fantino, Federico Regoli, e che ancor prima fu sede di un’altra importante famiglia ippica dei tempi d’oro, i Crespi, è da tempo abbandonata e solo alcune delle costruzioni che la compongono sono oggi utilizzate come scuderie.
Il risultato? Proprio le scuderie, con la loro architettura rispettosa del verde e con l’armonia di architetture tra i villaggi dei lavoratori e le ville in stile Liberty dei proprietari e allevatori; ma anche il cinquantennio d’oro dell’ippica, iniziato a fine ‘800 e spezzato dalla seconda Guerra mondiale. Infatti è a inizio Novecento che Milano diventa una delle capitali dell’ippica mondiale, grazie alla rivalità tra i cavalli del nobile banchiere De Montel e quelli di Federico Tesio, portatore di una visione moderna nel mondo dell’imprenditoria ippica e scopritore di grandi purosangue come Nearco e Ribot.
Una gloria che oggi però rischia di perdersi: le scuderie De Montel sono da tempo abbandonate a se stesse, e la residenza Liberty di Tesio è stata completamente demolita e trasformata in condominio (della struttura originale è rimasta solo la portineria); anche la Villa Bellotta, nel centro d’allenamento, dove visse un altro grande fantino, Federico Regoli, e che ancor prima fu sede di un’altra importante famiglia ippica dei tempi d’oro, i Crespi, è da tempo abbandonata e solo alcune delle costruzioni che la compongono sono oggi utilizzate come scuderie.
Il nostro viaggio si conclude intravedendo tra le siepi le due piste di allenamento del galoppo, e da questa immagine impariamo una lezione: se per gli uomini l’anello è un simbolo della fedeltà e dell’affetto reciproco, così idealmente anche la forma ad anello delle piste su cui corrono i cavalli riassume la vicinanza tra l’essere umano e l’animale. E questo rapporto non è stretto solo nel momento della corsa: il cavallo cresce insieme all’uomo, va curato e rispettato, deve avere i suoi momenti di riposo e libertà per essere pronto alla prossima corsa; ma ad essere difeso deve essere anche il ricordo di questo rapporto, le sue tracce.
ODORE DI SCUDERIA
In una Milano in cui il mito della velocità non ha pietà di nessuno, le note stridenti di ferraglia dei tram si perdono in quelle un po’ scordate di un violino che racconta il dramma della miseria quotidiana percorrendo a ritroso i vagoni della metropolitana.
Ci si accorge appena di essere scesi da un comune autobus Atm, che già le scarpe si sporcano di terriccio. Siamo all’ingresso delle vecchie scuderie dell’ippodromo, quasi catapultati in un piccolo ritaglio di Sardegna che risuona nel vocio dei lavoratori appena oltre la soglia. Bastano davvero pochi isolati per ritrovarsi in una dimensione che sembra essersi fermata a oltre un secolo fa, quando il cavallo era il mezzo di trasporto per eccellenza e il suo odore impregnava la città. È proprio quell’odore che oggi accoglie e guida tutti coloro i quali, per passione o per curiosità, oltrepassano il muro di cemento che per chilometri abbraccia uno spazio fuori dal tempo, come un giardino segreto.
Quell’odore di scuderia, di trepida attesa prima di una gara, di stanchezza del cavallo a riposo dopo un allenamento
L’odore del cuoio, del pellame, degli stivali di gomma ci accompagna in questo viaggio nel mondo dell’equitazione, mescolandosi a quello delle criniere, che gli amanti della disciplina sanno distillare e assaporare come un profumo. Passeggiando per il lungo viale puntellato di scuderie, mentre l’occhio si perde a sbirciare i dettagli dei cortili e i gatti che sonnecchiano al sole, il quasi assordante cinguettio degli uccelli si stempera nel caos disordinato dei rumori di città, di cui appena si avverte l’eco.
Il ritmico incalzare degli zoccoli che si irrigidiscono alla nostra presenza ci rammenta chi sono i padroni di casa e invita a una visita silenziosa e appartata, nel totale rispetto di una sensibilità delicatissima che si può imparare a conoscere.
Quell’odore di scuderia, di trepida attesa prima di una gara, di stanchezza del cavallo a riposo dopo un allenamento
L’odore del cuoio, del pellame, degli stivali di gomma ci accompagna in questo viaggio nel mondo dell’equitazione, mescolandosi a quello delle criniere, che gli amanti della disciplina sanno distillare e assaporare come un profumo. Passeggiando per il lungo viale puntellato di scuderie, mentre l’occhio si perde a sbirciare i dettagli dei cortili e i gatti che sonnecchiano al sole, il quasi assordante cinguettio degli uccelli si stempera nel caos disordinato dei rumori di città, di cui appena si avverte l’eco.
Il ritmico incalzare degli zoccoli che si irrigidiscono alla nostra presenza ci rammenta chi sono i padroni di casa e invita a una visita silenziosa e appartata, nel totale rispetto di una sensibilità delicatissima che si può imparare a conoscere.
Ci approssimiamo a una scuderia per osservare un cavallo da vicino. Gli animali tollerano abbastanza bene la presenza umana, che sono abituati a percepire in modo positivo nelle cure e nelle attenzioni di chi vive quasi in simbiosi con loro. La fragranza della paglia solletica il naso e si confonde con la traccia più intensa del grasso spalmato per nutrire la pelle dei finimenti, accuratamente riposti poco lontano. Quell’odore di scuderia, di trepida attesa prima di una gara, di stanchezza del cavallo a riposo dopo un allenamento, che sembra abitare ormai solo nei racconti di libri polverosi dimenticati in soffitta, sopravvive in un angolo di Milano che davvero pochi conoscono. Un’esperienza composita e sfaccettata che si vorrebbe poter imbottigliare, che vale la pena di riscoprire e che ha tante storie da raccontare.
MITOLOGIA EQUESTRE
Quando si costituì il nucleo originario del quartiere ippico, intorno all'Ippodromo del Galoppo, le imprese di Nearco e Ribot erano ancora di là da venire e la fama di Tornado, il fedele destriero di Zorro, non era ancora giunta in Italia. All'Ufficio toponomastica del Comune di Milano non rimase che attingere dalla mitologia figure di cavalli e cavalieri cui intitolare le nuove strade.
La via che corre lungo tutto il lato nord dell'ippodromo e lo separa dal Lido in prossimità della curva est, giungendo fino a piazzale Lotto, è dedicata a Diomede. Quale, non è certo, posto che i due più noti personaggi con questo nome ebbero entrambi notevoli frequentazioni equestri.
Il primo, re di Argo ed eroe di primo piano dell'Iliade, rubò con Ulisse i 22 cavalli bianchi fatati del re di Tracia Reso; in seguito fu uno dei guerrieri che entrarono nel famoso cavallo in legno ideato da Ulisse per espugnare la città di Troia. Il secondo, re dei Bistoni – i più selvaggi e feroci dei Traci – era famoso per le sue altrettanto feroci cavalle, che teneva legate con catene di ferro e alle quali, con scarso senso di ospitalità, dava in pasto gli stranieri che si avventuravano nella sua terra. Fu protagonista dell'ottava fatica di Ercole, che lo uccise, lo diede in pasto alle sue stesse cavalle, rubò queste ultime, le domò e le rimise in libertà sul monte Olimpo.
Sul lato sud dell'ippodromo troviamo via Fetonte, figlio di Apollo dio del sole che riuscì un giorno a guidare il carro del sole
La targa della via non specifica a quale Diomede si pensasse in origine: ma la presenza di altri personaggi omerici nei paraggi e la limitata simpatia del secondo fanno propendere per il primo.
Sul lato sud dell'ippodromo troviamo via Fetonte, che corre per buona parte entro il muro di cinta. Altra figura mitologica, figlio di Apollo dio del sole, Fetonte riuscì un giorno a guidare il carro del sole, nonostante i tentativi paterni di dissuaderlo dall'impresa. Data la sua inesperienza, non riuscì a controllare lo slancio dei cavalli, che trascinarono il carro prima troppo in alto nella volta celeste, poi troppo in basso vicino alla terra, inaridendola. Colpito dal fulmine di Zeus, intervenuto in preda alla collera per fermarlo, Fetonte precipitò nell'Eridano e venne successivamente mutato nella costellazione dell'Auriga.
Parallela alla precedente, ma al di fuori delle mura, c'è via del Centauro (strada ad accesso limitato). Animali mitologici, metà uomo e metà cavallo, i centauri vivevano nei boschi del monte Pelio, in Tessaglia, da dove furono poi scacciati. Erano per lo più descritti come rozzi e brutali, salvo alcune vistose eccezioni: Chirone, il cui nome significa “abile con le mani”, era uno dei più saggi e i suoi insegnamenti, soprattutto quello sull’arte della guarigione, lo fanno ritenere il padre fondatore della scienza veterinaria. Non a caso la sua raffigurazione compare nello stendardo della facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università degli Studi di Milano. Alla sua morte, Zeus lo tramutò nella costellazione del Centauro.
Pegaso, mitico cavallo alato, deve accontentarsi di una vietta che collega via Fetonte al piazzale dello Sport. Frutto dell'unione di Poseidone, dio dei cavalli oltre che del mare, con Medusa, Pegaso nacque dal collo di quest'ultima quando fu decapitata da Perseo. Immortale per linea paterna, il cavallo alato abitava nella casa di Zeus e trasportava per lui le folgori forgiate dai Ciclopi. Un giorno Bellerofonte, con l'aiuto di una briglia dorata donatagli da Atena, lo catturò mentre si abbeverava sulla rocca di Corinto, lo domò e se ne servì per compiere le sue imprese: uccidere la Chimera, mostro con parti del corpo di animali diversi, e sconfiggere le Amazzoni. Ma quando osò competere con gli dei, fu disarcionato per volere di Zeus. Pegaso risalì all'Olimpo, dove Zeus l'accolse e lo volle immortalare nel firmamento, trasformandolo nell'omonima costellazione.
Il primo, re di Argo ed eroe di primo piano dell'Iliade, rubò con Ulisse i 22 cavalli bianchi fatati del re di Tracia Reso; in seguito fu uno dei guerrieri che entrarono nel famoso cavallo in legno ideato da Ulisse per espugnare la città di Troia. Il secondo, re dei Bistoni – i più selvaggi e feroci dei Traci – era famoso per le sue altrettanto feroci cavalle, che teneva legate con catene di ferro e alle quali, con scarso senso di ospitalità, dava in pasto gli stranieri che si avventuravano nella sua terra. Fu protagonista dell'ottava fatica di Ercole, che lo uccise, lo diede in pasto alle sue stesse cavalle, rubò queste ultime, le domò e le rimise in libertà sul monte Olimpo.
Sul lato sud dell'ippodromo troviamo via Fetonte, figlio di Apollo dio del sole che riuscì un giorno a guidare il carro del sole
La targa della via non specifica a quale Diomede si pensasse in origine: ma la presenza di altri personaggi omerici nei paraggi e la limitata simpatia del secondo fanno propendere per il primo.
Sul lato sud dell'ippodromo troviamo via Fetonte, che corre per buona parte entro il muro di cinta. Altra figura mitologica, figlio di Apollo dio del sole, Fetonte riuscì un giorno a guidare il carro del sole, nonostante i tentativi paterni di dissuaderlo dall'impresa. Data la sua inesperienza, non riuscì a controllare lo slancio dei cavalli, che trascinarono il carro prima troppo in alto nella volta celeste, poi troppo in basso vicino alla terra, inaridendola. Colpito dal fulmine di Zeus, intervenuto in preda alla collera per fermarlo, Fetonte precipitò nell'Eridano e venne successivamente mutato nella costellazione dell'Auriga.
Parallela alla precedente, ma al di fuori delle mura, c'è via del Centauro (strada ad accesso limitato). Animali mitologici, metà uomo e metà cavallo, i centauri vivevano nei boschi del monte Pelio, in Tessaglia, da dove furono poi scacciati. Erano per lo più descritti come rozzi e brutali, salvo alcune vistose eccezioni: Chirone, il cui nome significa “abile con le mani”, era uno dei più saggi e i suoi insegnamenti, soprattutto quello sull’arte della guarigione, lo fanno ritenere il padre fondatore della scienza veterinaria. Non a caso la sua raffigurazione compare nello stendardo della facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università degli Studi di Milano. Alla sua morte, Zeus lo tramutò nella costellazione del Centauro.
Pegaso, mitico cavallo alato, deve accontentarsi di una vietta che collega via Fetonte al piazzale dello Sport. Frutto dell'unione di Poseidone, dio dei cavalli oltre che del mare, con Medusa, Pegaso nacque dal collo di quest'ultima quando fu decapitata da Perseo. Immortale per linea paterna, il cavallo alato abitava nella casa di Zeus e trasportava per lui le folgori forgiate dai Ciclopi. Un giorno Bellerofonte, con l'aiuto di una briglia dorata donatagli da Atena, lo catturò mentre si abbeverava sulla rocca di Corinto, lo domò e se ne servì per compiere le sue imprese: uccidere la Chimera, mostro con parti del corpo di animali diversi, e sconfiggere le Amazzoni. Ma quando osò competere con gli dei, fu disarcionato per volere di Zeus. Pegaso risalì all'Olimpo, dove Zeus l'accolse e lo volle immortalare nel firmamento, trasformandolo nell'omonima costellazione.
Patroclo, amico inseparabile di Achille: tanto inseparabile che, nel quartiere ippico, via Achille si immette in via Patroclo
Poco oltre, proseguendo verso sud, all'altezza delle scuderie De Montel, via Fetonte incrocia via Achille. Eroe leggendario dalle numerose gesta, Achille deve il nome al centauro Chirone, cui era stato affidato affinché provvedesse alla sua crescita ed educazione. Impossibile narrare le sue imprese alla guerra di Troia senza citare Xanto e Balio, i due cavalli immortali figli di Zefiro, vento dell’ovest, e dell'arpia Podarge. Donati da Poseidone a Peleo, padre di Achille, in occasione delle nozze e consegnati da questi al figlio alla partenza per la guerra, lo accompagnarono sino alla fine. Nell'Iliade si narra anche il pianto addolorato dei due cavalli divini per la morte di Patroclo, amico inseparabile di Achille: tanto inseparabile che, nel quartiere ippico, via Achille si immette in via Patroclo.Una svolta a sinistra proprio a quest'altezza ci porta fuori dalla mitologia classica, direttamente a un mito del XX secolo; ci troviamo in via Federico Tesio, proprietario, allevatore e allenatore di cavalli, che ha dato un contributo determinante allo sviluppo dell'ippica, non solo italiana. Curiosamente, ciò che rimane delle sue scuderie milanesi (il casello adibito a portineria del complesso condominiale costruito al loro posto) non si trova in via Tesio, ma in via Ippodromo 56. A un altro Federico, coetaneo di Tesio, è intitolato il viale che porta dal piazzale dello Sport a piazzale Lotto. Si tratta di Federico Caprilli, aitante capitano di cavalleria considerato l'ideatore dell'equitazione naturale, in contrapposizione alla tecnica “di scuola” o “da maneggio”. Caprilli era partito da una constatazione che andava al tempo stesso nell'interesse dell'uomo e del cavallo: costringendo quest'ultimo a eseguire movimenti non naturali e a subire comportamenti del cavaliere che gli procuravano sofferenze e nervosismo, si finiva col reprimerne le naturali doti di elasticità e robustezza e ottenere un addestramento scadente. Non ancora quarantenne, morì in seguito a una banale caduta da cavallo, forse dovuta a un malore.
Nei dintorni dell'ippodromo non poteva mancare una via Ippodromo, che taglia orizzontalmente il quartiere ippico e lambisce la pista del galoppo e le due piste di allenamento, la Maura e la Trenno, unendole idealmente.
Altre vie lì intorno potrebbero celare legami più o meno evidenti con il mondo dell'ippica: ma attenzione ai tranelli! La via Varenna a pochi metri da via Tesio non è intitolata a una parente femmina del celebre trottatore Varenne, ma all'omonima località sul lago di Como.
Poco oltre, proseguendo verso sud, all'altezza delle scuderie De Montel, via Fetonte incrocia via Achille. Eroe leggendario dalle numerose gesta, Achille deve il nome al centauro Chirone, cui era stato affidato affinché provvedesse alla sua crescita ed educazione. Impossibile narrare le sue imprese alla guerra di Troia senza citare Xanto e Balio, i due cavalli immortali figli di Zefiro, vento dell’ovest, e dell'arpia Podarge. Donati da Poseidone a Peleo, padre di Achille, in occasione delle nozze e consegnati da questi al figlio alla partenza per la guerra, lo accompagnarono sino alla fine. Nell'Iliade si narra anche il pianto addolorato dei due cavalli divini per la morte di Patroclo, amico inseparabile di Achille: tanto inseparabile che, nel quartiere ippico, via Achille si immette in via Patroclo.Una svolta a sinistra proprio a quest'altezza ci porta fuori dalla mitologia classica, direttamente a un mito del XX secolo; ci troviamo in via Federico Tesio, proprietario, allevatore e allenatore di cavalli, che ha dato un contributo determinante allo sviluppo dell'ippica, non solo italiana. Curiosamente, ciò che rimane delle sue scuderie milanesi (il casello adibito a portineria del complesso condominiale costruito al loro posto) non si trova in via Tesio, ma in via Ippodromo 56. A un altro Federico, coetaneo di Tesio, è intitolato il viale che porta dal piazzale dello Sport a piazzale Lotto. Si tratta di Federico Caprilli, aitante capitano di cavalleria considerato l'ideatore dell'equitazione naturale, in contrapposizione alla tecnica “di scuola” o “da maneggio”. Caprilli era partito da una constatazione che andava al tempo stesso nell'interesse dell'uomo e del cavallo: costringendo quest'ultimo a eseguire movimenti non naturali e a subire comportamenti del cavaliere che gli procuravano sofferenze e nervosismo, si finiva col reprimerne le naturali doti di elasticità e robustezza e ottenere un addestramento scadente. Non ancora quarantenne, morì in seguito a una banale caduta da cavallo, forse dovuta a un malore.
Nei dintorni dell'ippodromo non poteva mancare una via Ippodromo, che taglia orizzontalmente il quartiere ippico e lambisce la pista del galoppo e le due piste di allenamento, la Maura e la Trenno, unendole idealmente.
Altre vie lì intorno potrebbero celare legami più o meno evidenti con il mondo dell'ippica: ma attenzione ai tranelli! La via Varenna a pochi metri da via Tesio non è intitolata a una parente femmina del celebre trottatore Varenne, ma all'omonima località sul lago di Como.