Editoriale
Questo lavoro è il prodotto finale della prima edizione del Master “Comunicare il Turismo Sostenibile” attivato dall’Università di Milano Bicocca per l’anno accademico 2012-2013.
Il Master ha affrontato i temi della comunicazione turistica al fine di fornire le basi teoriche sul turismo sostenibile, analizzandone le principali strategie e tecniche di comunicazione.
Dopo un’introduzione generale al tema della sostenibilità, i moduli didattici del corso hanno acquisito un carattere via via più pratico, con una preparazione teorica e tecnica propedeutica alle attività conclusive dei tre laboratori progettuali (editoria, fotografia e audiovisivi).
Una proposta per il futuro
Gli studenti, una volta scelto il loro rispettivo laboratorio di afferenza, hanno lavorato su un progetto comune, finalizzato alla valorizzazione di una specifica area di Milano, utilizzando tecniche di comunicazione differenti che hanno trovato applicazione nella realizzazione di questo prodotto, pensato e ottimizzato per una fruizione attraverso tablet e per un turista tecnologicamente attento all'esperienza multimediale. Il programma è semplice ma non scontato: dopo un itinerario di partenza che permette al lettore di prendere consapevolezza circa lo stato dell'arte e l'effettiva potenzialità del territorio, il percorso narrativo si conclude con una proposta per il futuro.
Nell'elaborazione di questo progetto è stato necessario un confronto costante a larga scala e su molti livelli: a partire dalla classica dicotomia che vede opposte città e campagna; tra situazioni reali, problematiche contingenti e idee di sviluppo; tra coinvolgimento personale, passione e imparzialità; ma anche tra gli stessi gruppi di lavoro e, a volte i singoli componenti, nel momento di mettere in pratica non solo i concetti appresi nei moduli didattici ma anche a sviluppare le capacità di relazione e di mediazione tra differenti metodi di lavoro, propri di ciascun linguaggio oltre che, ovviamente, le sensibilità di ciascun partecipante.
Quest’ultimo obiettivo è d’altra parte coerente con il filo rosso che ha unito i diversi moduli: l’idea che la sostenibilità, anche in ambito turistico, sia una capacità di sviluppare in modo innovativo relazioni tra percorsi differenti e storie poco conosciute. Fare turismo sostenibile significa anche predisporsi e predisporre l’incontro con persone che hanno molto da raccontare e desiderano che la loro conoscenza non sia sommersa dalle urgenze dell’ “eterno presente” senza memoria del passato.
Per questo si è scelto di focalizzare l’attenzione su un’area di Milano appartata nell’ombra, quasi sconosciuta ai più, che cerca faticosamente di sopravvivere alla stretta incalzante di una modernità professata nel cemento. Stiamo parlando della zona degli Ippodromi e delle aree verdi immediatamente adiacenti del Bosco in Città, del Parco delle Cave, del Parco di Trenno e di tutto quel vasto “cuneo verde” ad ovest della città che, ancora oggi, è sotto la giurisdizione del “Parco Agricolo Sud”.
Cento ettari di spazi verdi che insieme alle aree agricole e quelle dei parchi costituiscono il più esteso ed omogeneo quadrante ecologico che arriva fino al cuore della città
I circa cento ettari di spazi verdi che formano gli impianti ippici di San Siro, costituiscono oggi un ponte reale e non solo ideale tra città e campagna, che è però solo parzialmente accessibile e praticabile e nasconde la presenza di luoghi interdetti al pubblico e a rischio di estinzione (scuderie abbandonate, appartamenti sfitti e più in generale un’incuria e un degrado crescente in diverse aree adibite all’allenamento dei cavalli). Insieme alle adiacenti aree agricole e a parco si estende un'area verde di notevoli dimensioni (approssimativamente circa quattrocento ettari) che forma il più esteso ed omogeneo quadrante ecologico ancora presente a ridosso della città.
L’ippica milanese è un mondo che vive di un proprio linguaggio, di una lunga storia e di simboli che come i dialetti muoiono quando si smarrisce la capacità di “parlarli”. Il primo passo per valorizzare questi luoghi è quindi quello di provare a raccontarli, conservando il loro gergo. Per questo il progetto include anche un particolare dizionario che fin dal nome scelto riunisce territorio, uomini ed espressioni tecniche: “Itizionario”, come sintesi di itinerario e dizionario, di parole e passaggi a più voci.
Cerchiamo insieme di andare oltre una conoscenza meccanica del territorio; ci predisponiamo al viaggio con un nuovo entusiasmo; partiamo in un certo senso da zero anche quando la meta, come in questo caso, non è particolarmente “esotica”; azzeriamo preconcetti e ci esercitiamo a trovare nei dettagli quei significati nascosti sotto la superficie. Bisogna considerare questa realtà con lo stesso spirito e predisposizione mentale con cui si accede a un'area protetta, un parco naturale che racchiude specie in via d'estinzione e che per sopravvivere ha urgente bisogno di applicare un modello di turismo sostenibile.
Secondo quest'ottica e a livello metodologico, sono due i concetti chiave sviluppati nel corso e che il progetto finale ha cercato di mettere in pratica: la logica della “mappa mentale” e il bisogno di un’ “ecologia del linguaggio”
Il primo concetto parte dall’idea che il turismo sia un continuo confronto tra l’esperienza fisica (ad esempio gli stimoli che si ricevono dai sensi, come testimonia lo spazio dato nel progetto al tema dei colori, degli odori e delle sinestesie) e la percezione mentale di un luogo.
Inoltre ha una grande importanza la conoscenza effettiva del territorio precedente all’esplorazione vera e propria: chi sfoglierà in digitale le pagine del progetto potrà mettersi nei panni degli studenti prima e dopo l’attività di laboratorio, e condividere un percorso di scoperta del territorio che ha trasformato profondamente l’immagine mentale, le convenzioni, la “visione” che queste stesse persone avevano di Milano.
Sono stati soprattutto i laboratori di fotografia e video a tradurre questa idea in forme nuove, come potrebbe farlo in un futuro non remoto l'applicazione di tecniche e strategie comunicative innovative, come la realtà aumentata, l'interazione tra geolocalizzazione dei partecipanti e applicazioni multimediali, etc. Per lavorare sulle immagini occorre infatti una dote non scontata, in parte innata, ma che si può anche imparare ad acquisire: un senso del dettaglio, una capacità di sentirlo e di avere momenti di “illuminazione” in cui si coglie una sensazione irripetibile. L'impulso quasi irresistibile di catturare quell'istante in fotografia si sposa perfettamente con l’essenza stessa del turismo, per sua natura un insieme di percorsi in cui il viaggiatore chiede di potersi meravigliare e di creare i propri ricordi.
Ma questo sguardo da solo non è sufficiente, senza un’adeguata conoscenza rischia di tradursi in estetismo superficiale e di cadere nelle trappole del “kitsch” di cui diremo più sotto.
Esistono in verità due rischi ugualmente noti a chi opera con le immagini, e che un’educazione all’immagine deve evitare: una semplificazione eccessiva del messaggio, ma per altri versi anche un approccio eccessivamente tecnico che privilegi la perfezione visiva, dando vita (ma non vitalità) a uno stile ineccepibile dal punto di vista formale, ma privo di contenuti e umanità.
Il concetto di “ecologia del linguaggio” è stato invece sviluppato nell’ambito del modulo didattico dedicato all’editoria e al giornalismo turistico, e ha animato il lavoro del laboratorio omonimo
Già a livello teorico gli studenti del Master hanno potuto sperimentare un diverso approccio alla scrittura (e quindi anche alla lettura), depurato dalla tendenza allo stereotipo e alla banalità che insidia la comunicazione anche in questo ambito. Il ricorso a formule pigre e a tassonomie senza argomentazione (su tutti il ricorso ad aggettivi come “bellissimo”, “magico”, “inconfondibile”, “unico”) deve lasciare spazio all’equivalente verbale della finezza di cui abbiamo parlato: la strategia comunicativa da adottare agisce su due piani.
Da un lato occorre un lavoro propedeutico alla scrittura: spesso davanti al foglio bianco si presenta non solo la sindrome da “blocco dello scrittore”, ma per certi versi anche il suo contrario, cioè un’urgenza di fissare su carta l’idea del momento.
Occorre invece, e questo è il senso del percorso compiuto, dare tutto il tempo necessario a raffinare nella mente e nella discussione di gruppo gli oggetti di discussione; questo implica un secondo livello altrettanto rilevante: la precisione di ciò che si scrive, e a prescindere dallo strumento utilizzato.
L’esperienza editoriale, particolarmente quando si tratta di temi di attualità e dalle implicazioni sociali e politiche non indifferenti (come nel caso della sostenibilità), richiede un’attitudine perfettamente simmetrica a quella del fotografo: un’apertura mentale estrema accompagnata da un realismo e da un senso critico che si traducono nella verifica delle fonti, nella selezione delle informazioni utili al discorso (soprattutto di fronte alla dispersività e alla bassa qualità media della scrittura che caratterizzano il web).
La scrittura vera e propria diventa quindi equivalente al montaggio audiovisivo: un assemblaggio di informazioni che già a priori deve avere una direzione, ma che nel corso del suo sviluppo può aprirsi a sviluppi inaspettati e arricchire la sua logica. Questo pur senza ostinarsi a cercare una coerenza assoluta e totale, monolitica nei contenuti.
Anzi l’elemento più stimolante è proprio la sfida con cui si cerca di trasmettere al lettore e allo spettatore: l’invito, anche per il futuro, a prendere un oggetto e a cercare al suo interno una coerenza, una storia che non esclude contraddizioni, diramazioni, lati più oscuri, problemi. Anche perché quanto si vuole proporre non è una riscoperta del “pittoresco”, che come abbiamo detto è un tutt’uno o quasi con il kitsch: è invece qualcosa che non esclude l’analisi del degrado, del malessere sociale e ambientale, delle paralisi decisionali che caratterizzano la politica e che si materializza in un'idea, una proposta per il futuro.
Non esistono insomma spazi perfetti o al contrario aree irrecuperabili, dal degrado impossibile da fermare o più semplicemente “brutte e quindi non rilevanti”. Nell’esperienza del Master si è voluto proporre quindi un “turismo quotidiano” che, concentrandosi sul dettaglio, riesce a mettere in relazione con freschezza i viaggi in località nuove e sconosciute e gli itinerari della nostra vita quotidiana pensando e proponendo ampi margini di miglioramento, ipotesi di sviluppo teoriche ma non irrealizzabili.
Dopo un’introduzione generale al tema della sostenibilità, i moduli didattici del corso hanno acquisito un carattere via via più pratico, con una preparazione teorica e tecnica propedeutica alle attività conclusive dei tre laboratori progettuali (editoria, fotografia e audiovisivi).
Una proposta per il futuro
Gli studenti, una volta scelto il loro rispettivo laboratorio di afferenza, hanno lavorato su un progetto comune, finalizzato alla valorizzazione di una specifica area di Milano, utilizzando tecniche di comunicazione differenti che hanno trovato applicazione nella realizzazione di questo prodotto, pensato e ottimizzato per una fruizione attraverso tablet e per un turista tecnologicamente attento all'esperienza multimediale. Il programma è semplice ma non scontato: dopo un itinerario di partenza che permette al lettore di prendere consapevolezza circa lo stato dell'arte e l'effettiva potenzialità del territorio, il percorso narrativo si conclude con una proposta per il futuro.
Nell'elaborazione di questo progetto è stato necessario un confronto costante a larga scala e su molti livelli: a partire dalla classica dicotomia che vede opposte città e campagna; tra situazioni reali, problematiche contingenti e idee di sviluppo; tra coinvolgimento personale, passione e imparzialità; ma anche tra gli stessi gruppi di lavoro e, a volte i singoli componenti, nel momento di mettere in pratica non solo i concetti appresi nei moduli didattici ma anche a sviluppare le capacità di relazione e di mediazione tra differenti metodi di lavoro, propri di ciascun linguaggio oltre che, ovviamente, le sensibilità di ciascun partecipante.
Quest’ultimo obiettivo è d’altra parte coerente con il filo rosso che ha unito i diversi moduli: l’idea che la sostenibilità, anche in ambito turistico, sia una capacità di sviluppare in modo innovativo relazioni tra percorsi differenti e storie poco conosciute. Fare turismo sostenibile significa anche predisporsi e predisporre l’incontro con persone che hanno molto da raccontare e desiderano che la loro conoscenza non sia sommersa dalle urgenze dell’ “eterno presente” senza memoria del passato.
Per questo si è scelto di focalizzare l’attenzione su un’area di Milano appartata nell’ombra, quasi sconosciuta ai più, che cerca faticosamente di sopravvivere alla stretta incalzante di una modernità professata nel cemento. Stiamo parlando della zona degli Ippodromi e delle aree verdi immediatamente adiacenti del Bosco in Città, del Parco delle Cave, del Parco di Trenno e di tutto quel vasto “cuneo verde” ad ovest della città che, ancora oggi, è sotto la giurisdizione del “Parco Agricolo Sud”.
Cento ettari di spazi verdi che insieme alle aree agricole e quelle dei parchi costituiscono il più esteso ed omogeneo quadrante ecologico che arriva fino al cuore della città
I circa cento ettari di spazi verdi che formano gli impianti ippici di San Siro, costituiscono oggi un ponte reale e non solo ideale tra città e campagna, che è però solo parzialmente accessibile e praticabile e nasconde la presenza di luoghi interdetti al pubblico e a rischio di estinzione (scuderie abbandonate, appartamenti sfitti e più in generale un’incuria e un degrado crescente in diverse aree adibite all’allenamento dei cavalli). Insieme alle adiacenti aree agricole e a parco si estende un'area verde di notevoli dimensioni (approssimativamente circa quattrocento ettari) che forma il più esteso ed omogeneo quadrante ecologico ancora presente a ridosso della città.
L’ippica milanese è un mondo che vive di un proprio linguaggio, di una lunga storia e di simboli che come i dialetti muoiono quando si smarrisce la capacità di “parlarli”. Il primo passo per valorizzare questi luoghi è quindi quello di provare a raccontarli, conservando il loro gergo. Per questo il progetto include anche un particolare dizionario che fin dal nome scelto riunisce territorio, uomini ed espressioni tecniche: “Itizionario”, come sintesi di itinerario e dizionario, di parole e passaggi a più voci.
Cerchiamo insieme di andare oltre una conoscenza meccanica del territorio; ci predisponiamo al viaggio con un nuovo entusiasmo; partiamo in un certo senso da zero anche quando la meta, come in questo caso, non è particolarmente “esotica”; azzeriamo preconcetti e ci esercitiamo a trovare nei dettagli quei significati nascosti sotto la superficie. Bisogna considerare questa realtà con lo stesso spirito e predisposizione mentale con cui si accede a un'area protetta, un parco naturale che racchiude specie in via d'estinzione e che per sopravvivere ha urgente bisogno di applicare un modello di turismo sostenibile.
Secondo quest'ottica e a livello metodologico, sono due i concetti chiave sviluppati nel corso e che il progetto finale ha cercato di mettere in pratica: la logica della “mappa mentale” e il bisogno di un’ “ecologia del linguaggio”
Il primo concetto parte dall’idea che il turismo sia un continuo confronto tra l’esperienza fisica (ad esempio gli stimoli che si ricevono dai sensi, come testimonia lo spazio dato nel progetto al tema dei colori, degli odori e delle sinestesie) e la percezione mentale di un luogo.
Inoltre ha una grande importanza la conoscenza effettiva del territorio precedente all’esplorazione vera e propria: chi sfoglierà in digitale le pagine del progetto potrà mettersi nei panni degli studenti prima e dopo l’attività di laboratorio, e condividere un percorso di scoperta del territorio che ha trasformato profondamente l’immagine mentale, le convenzioni, la “visione” che queste stesse persone avevano di Milano.
Sono stati soprattutto i laboratori di fotografia e video a tradurre questa idea in forme nuove, come potrebbe farlo in un futuro non remoto l'applicazione di tecniche e strategie comunicative innovative, come la realtà aumentata, l'interazione tra geolocalizzazione dei partecipanti e applicazioni multimediali, etc. Per lavorare sulle immagini occorre infatti una dote non scontata, in parte innata, ma che si può anche imparare ad acquisire: un senso del dettaglio, una capacità di sentirlo e di avere momenti di “illuminazione” in cui si coglie una sensazione irripetibile. L'impulso quasi irresistibile di catturare quell'istante in fotografia si sposa perfettamente con l’essenza stessa del turismo, per sua natura un insieme di percorsi in cui il viaggiatore chiede di potersi meravigliare e di creare i propri ricordi.
Ma questo sguardo da solo non è sufficiente, senza un’adeguata conoscenza rischia di tradursi in estetismo superficiale e di cadere nelle trappole del “kitsch” di cui diremo più sotto.
Esistono in verità due rischi ugualmente noti a chi opera con le immagini, e che un’educazione all’immagine deve evitare: una semplificazione eccessiva del messaggio, ma per altri versi anche un approccio eccessivamente tecnico che privilegi la perfezione visiva, dando vita (ma non vitalità) a uno stile ineccepibile dal punto di vista formale, ma privo di contenuti e umanità.
Il concetto di “ecologia del linguaggio” è stato invece sviluppato nell’ambito del modulo didattico dedicato all’editoria e al giornalismo turistico, e ha animato il lavoro del laboratorio omonimo
Già a livello teorico gli studenti del Master hanno potuto sperimentare un diverso approccio alla scrittura (e quindi anche alla lettura), depurato dalla tendenza allo stereotipo e alla banalità che insidia la comunicazione anche in questo ambito. Il ricorso a formule pigre e a tassonomie senza argomentazione (su tutti il ricorso ad aggettivi come “bellissimo”, “magico”, “inconfondibile”, “unico”) deve lasciare spazio all’equivalente verbale della finezza di cui abbiamo parlato: la strategia comunicativa da adottare agisce su due piani.
Da un lato occorre un lavoro propedeutico alla scrittura: spesso davanti al foglio bianco si presenta non solo la sindrome da “blocco dello scrittore”, ma per certi versi anche il suo contrario, cioè un’urgenza di fissare su carta l’idea del momento.
Occorre invece, e questo è il senso del percorso compiuto, dare tutto il tempo necessario a raffinare nella mente e nella discussione di gruppo gli oggetti di discussione; questo implica un secondo livello altrettanto rilevante: la precisione di ciò che si scrive, e a prescindere dallo strumento utilizzato.
L’esperienza editoriale, particolarmente quando si tratta di temi di attualità e dalle implicazioni sociali e politiche non indifferenti (come nel caso della sostenibilità), richiede un’attitudine perfettamente simmetrica a quella del fotografo: un’apertura mentale estrema accompagnata da un realismo e da un senso critico che si traducono nella verifica delle fonti, nella selezione delle informazioni utili al discorso (soprattutto di fronte alla dispersività e alla bassa qualità media della scrittura che caratterizzano il web).
La scrittura vera e propria diventa quindi equivalente al montaggio audiovisivo: un assemblaggio di informazioni che già a priori deve avere una direzione, ma che nel corso del suo sviluppo può aprirsi a sviluppi inaspettati e arricchire la sua logica. Questo pur senza ostinarsi a cercare una coerenza assoluta e totale, monolitica nei contenuti.
Anzi l’elemento più stimolante è proprio la sfida con cui si cerca di trasmettere al lettore e allo spettatore: l’invito, anche per il futuro, a prendere un oggetto e a cercare al suo interno una coerenza, una storia che non esclude contraddizioni, diramazioni, lati più oscuri, problemi. Anche perché quanto si vuole proporre non è una riscoperta del “pittoresco”, che come abbiamo detto è un tutt’uno o quasi con il kitsch: è invece qualcosa che non esclude l’analisi del degrado, del malessere sociale e ambientale, delle paralisi decisionali che caratterizzano la politica e che si materializza in un'idea, una proposta per il futuro.
Non esistono insomma spazi perfetti o al contrario aree irrecuperabili, dal degrado impossibile da fermare o più semplicemente “brutte e quindi non rilevanti”. Nell’esperienza del Master si è voluto proporre quindi un “turismo quotidiano” che, concentrandosi sul dettaglio, riesce a mettere in relazione con freschezza i viaggi in località nuove e sconosciute e gli itinerari della nostra vita quotidiana pensando e proponendo ampi margini di miglioramento, ipotesi di sviluppo teoriche ma non irrealizzabili.